Salvo le lingue fittizie messe in bocca a Pluto e Nembrot, l’unico personaggio che non parli la lingua del poeta che scrive è Arnaut Daniel (Purg. XXVI), il trovatore occitano segnalato come supremo cantore d’amore nel De Vulgari Eloquentia.
È famoso per l’elegantissimo congedo in provenzale dal dialogo col pellegrino in bilico sulla cornice dei lussuriosi.
Presentato da Guido Guinizzelli come il più grande “fabbro” di versi d’amore e superiore pure al collega lemosino Giraut de Bornelh, l’eredità letteraria lasciata da questo elaboratissimo cantore è tra le più longeve e durature.
Ad esso si rifanno anche poeti moderni quali: Thomas Stearns Eliot, Ezra Pound ed anche vari italiani. Ecco i versi della Commedia attribuitigli:
Tan m’abellis vostre cortes deman,
qu’ieu no me puesc ni voill a vos cobrire.
Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan;
consiros vei la passada folor,
e vei jausen lo joi qu’esper, denan.
Ara vos prec, per aquella valor
que vos guida al som de l’escalina,
sovenha vos a temps de ma dolor!
Tanto m’aggrada la vostra cortese domanda, ch’io non posso né voglio a voi nascondermi, io sono Arnaut, che piango e vado cantando. Contrito contemplo la passata follia e intravedo lieto la letizia che dinanzi mi attende. Ora vi prego, per quella virtù che vi conduce in cima alla scala. Ricordatevi in tempo della mia pena!