Le tre Parche, corrispondenti alla greche Moire, le celebri e sinistre, divinità romane, sono menzionate tutte nella Divina Commedia: Atropo, l’Inesorabile, da ὰ-τρέπω (Inf. XXXIII), Cloto la Filatrice, da κλώθω (Purg. XXI) e Lachesi da λαχεῖν, (Purg. XXI).
Figlie di Erebo (dal greco ῎Ερεβος, “tenebre” e quindi anche personificazione degli inferi, figlio di Caos) e della Notte (sua sorella da cui ebbe altra svariata discendenza), o di Zeus e Themis, si occupavano dello stame della vita umana, la cui intera vicenda era rappresentata da operazioni tessili.
Alla nascita di ciascuno, Cloto, la più giovane, prelevava una certa quantità di lino, lana, o canapa (pennecchio) e la avvolgeva sulla conocchia, Lachesi, poi, la filava giorno e notte.
La durata di vita di ciascuno era determinata e limitata dalla attività di questa Parca, dato che, quando ella finiva di tessere, il filo era ineluttabilmente reciso dalle forbici di Atropo. “Clotho colum retinet, Lachesis net et Athropos occat”.