Quando si trova a contemplare i giusti del cielo di Giove, Dante indirizza a un papa queste sprezzanti e dure parole (Par. XVIII):
Ma tu che sol per cancellare scrivi,
pensa che Pietro e Paulo, che moriro
per la vigna che guasti, ancor son vivi.
Ben puoi tu dire: “I’ ho fermo ‘l disiro
sì a colui che volle viver solo
e che per salti fu tratto al martiro
ch’io non conosco il pescator né Polo”.
È papa Giovanni XXII, caorsino, di nascita e di costumi, a cui (si interpreta) Dante rimprovera, oltre al mantenimento del papato in cattività avignonese ed altro ancora, il costume pessimo e simoniaco di scrivere decreti, scomuniche e interdetti usandoli solo come mezzo intimidatorio per ottenere benefici politici, per poi cancellarli o sospenderli in cambio di danaro; cioè senza un vero contenuto sacro.
Narra il Villani, come egli fece coniare ad Avignone:
“una nuova moneta d’oro fatta del peso e lega e conio del fiorino d’oro di Firenze sanza altra intransegna, se non che da lato del giglio diceano le lettere il nome del papa Giovanni; per la qual cosa gli fue messa grande riprensione, a fare dissimulare sì fatta moneta come il fiorino di Firenze”.
Ricordiamo che il fiorino (che Mastro Adamo è punito per aver falsificato a ventuno) era a ventiquattro carati e moneta di riferimento dei banchieri dell’epoca.
E aggiunge:
“dopo la sua morte si trovò nel tesoro de la Chiesa a Vignone in monete d’oro coniate il valere e compito di XVIII milioni di fiorini d’oro e più; e il vasellamento, corone, croci, e mitre, e altri gioielli d’oro con pietre preziose lo stimo a larga valuta di sette milioni di fiorini d’oro, che ogni milione è mille migliaia di fiorini d’oro la valuta”.
Mentre i martiri Pietro e Paolo sono alla vita eterna, i guasti realizzati alla vigna che lui come pontefice dovrebbe, invece, accudire sono presagio di sua ventura dannazione eterna.